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mercoledì, novembre 26, 2008

Aghi americani nel pagliaio africano

Ogni tanto i fili che tengono le notizie innocentemente appese alle pagine dei giornali si congiungono poco oltre la pagina che stiamo leggendo. Purtroppo sono ancora in pochi quelli dotati di uno sguardo tanto penetrante da vederci attraverso la carta del giornale. In realtà basterebbe esercitarsi un po' per riuscire a dare quello sguardo “oltre”. Spesso basta mettere la carta bene in controluce per coglierne le trasparenze.

Poco tempo fa abbiamo parlato di quei pirati che infesterebbero incontrollabili le acque somale, riuscendo a farla in barba alla più potente marina militare del mondo. Cosa strana, ma comunque un nonnulla se pensate che invece pare non riescano a farla in barba ad un insignificante “blogger” che scrive da una delle più insignificanti (almeno, così ce la svendono i gloriosi difensori della patria) isole del mondo, la Sicilia.

Si era scelto lo “snodo” del corno d'Africa per iniziare a parlare un po' più di politica internazionale (sempre con riferimento alla nostra insignificante isola) con cognizione di causa. Perchè in quella zona si sta svolgendo uno scontro importantissimo per il controllo delle vie marittime mondiali e delle risorse naturali dell'Africa centrale che condizionerà anche gli equilibri Mediterranei del prossimo futuro.

La notizia della petroliera Saudita attaccata con successo dagli ardimentosi avventurieri africani ha fatto il giro del mondo in un lampo. Il resoconto dei fatti deve essere suonato così fantasioso ed improbabile che l'Economist si è tradito fanciullescamente mettendosi sulla difensiva e confermando i peggiori tra i sospetti che si sarebbero potuti avere:

“Tutti hanno bisogno di sopravvivere in questi tempi duri. E se il peggio arriva, le navi da guerra possono sempre essere mandate a risolvere il problema, semplicemente come fecero i britannici e gli americani al largo della costa berbera del nord Africa all'inizio del XIX secolo. Viene la tentazione [di mandarle, queste navi da guerra, ndr], ma sarebbe sbagliato.”

Dopo aver ripreso con notevole ritardo l'idea del confronto con la pirateria barbaresca (ritardo rispetto a questo blog, eh eh!), il “prestigioso” periodico si sente in dovere di arrampicarsi sugli specchi per riuscire a spiegare come mai la più potente marina militare della storia non spreca un paio d'ore del suo prezioso tempo a liberare una delle più importanti vie di comunicazione del pianeta da questi ridicoli pirati.

Non si usano le maniere forti con chi non ha che pesci pigliare per sbarcare il lunario, d'altronde “I pirati barbareschi causarono danni umani ed economici immensi”. Questi invece sono dei disperati che per poter sfamare le loro numerose famiglie sono costretti a chiedere qualche decina di milioni di dollari di riscatto qua e la. E poi non ammazzano QUASI nessuno, poverini....

Ma torniamo alla petroliera saudita. La gigantesca nave (lunga ben 330 metri, si sentono di dover precisare) è stata attaccata 830 km al largo delle coste del Kenya. Per salire a bordo gli assalitori devono aver sparato dei cavi metallici con arpioni per poi issarsi lungo lo scafo alto decine di metri. Un azione da commando:

come conferma anche dal capo di stato maggiore dell’esercito americano, l’ammiraglio Mike Mullen: «È gente molto ben addestrata che utilizza tecnologia sofisticate, telefoni satellitari e apparati Gps. Scelgono con attenzione il punto del mare dove abbordare. Adesso con gli ostaggi a bordo sarà difficile riprendere il controllo della petroliera».

Dal canto suo il pirata aggiunge che «Noi disponiamo degli strumenti necessari per identificare i biglietti falsi», cosa che solo una “istituzione” può permettersi di dire. Senza contare che per andare a pescare questo ago (la lunga petroliera) in un pagliaio (l'oceano indiano) dovevano essere ben informati su suoi movimenti sin dalla sua partenza.

Certo devono esistere diversi gruppi di “pirati”, visto che al contrario il gruppo di sprovveduti che ha tentato di arrembare negli stessi giorni una nave indiana è stato colato a picco con estrema facilità dopo che si erano addirittura azzardati ad aprire il fuoco contro una nave da guerra.

Ma cosa avranno fatto i sauditi per scatenare le ire dei pirati? La notizia del sequestro è stata diramata con enfasi il 18 novembre, ma l'azione si era svolta il sabato prima, 15 novembre. Ricordate che Gordon Brown era andato a chiedere l'elemosina agli arabi il 10 novembre? Ebbene il 17 novembre i sauditi hanno dato la loro risposta. E che risposta! Sentite un po' cosa dice il ministro delle finanze del regno Ebrahim Al Assaf :

«Questa è la sua opinione [di Gordon Brown, ndr]. Questa non è la nostra opinione. Non abbiamo alcuna intenzione di pagare più o meno degli altri. Abbiamo fatto la nostra parte in maniera responsabile e continueremo a fare la nostra parte, ma non abbiamo intenzione di finanziare le istituzioni solo perchè abbiamo grosse riserve.

Queste riserve sono per lo sviluppo del regno dell'Arabia Saudita»


Il tono sembra alquanto risentito... che qualcuno abbia tentato di torcere il braccio ai pii musulmani?

Se poi proviamo ad annotare le nazionalità delle navi sequestrate viene fuori uno strano raggruppamento. Prediamo ad esempio il caso della nave greca vittima di un attacco (riuscito, ovviamente), martedì 17 (bel numero!). A pagina 50 dell'inserto dedicato alla cronaca locale de La Sicilia di ieri (25 novembre) in basso, leggiamo uno strano articoletto (strano per posizionamento): “Porti Pireo e Salonicco, nuova gestione”:

La Cina si appresta a prendere in concessione, per i prossimi 30 anni, i due principali porti marittimi greci, il Pireo (Atene) e Salonicco, rafforzando i propri investimenti diretti nella regione e la capacità di penetrazione sui mercati mediterranei e dell’area balcanica.

Ma questo vi sembra articolo da pagina 50 della cronaca locale di Catania de La Sicilia? Forse la notizia ci interessa molto da vicino, malgrado gli altri giornali nazionali quasi snobbino l'ANSA secondo cui “Un'altra grande impresa di Hong Kong, La Hutchinson Port Holding e' in trattative per ottenere la gestione del porto di Salonicco”

E da dove viene la seconda nave sequestrata lo stesso martedì 17? Bravi, state cominciando a capire. Da Hong Kong. Si tratta del Delight, un cargo.

Rimane infine sempre aperta la questione della nave Ucraina con 33 carri armati nella stiva ancora in mano ai pirati. All'inizio parlavamo di un errore di valutazione dei mandanti o di un tradimento ucraino. Ma forse gli anglosassoni sono molto più raffinati di quello che pensiamo. Per riuscire a fare i loro comodi in Africa devono liberarsi dell'influenza cinese in Congo ed in Sudan. Nessun problema, avranno pensato, scateniamo un genocidio stile Rwanda in Congo. Ed in Sudan? I carri armati pare fossero stati acquistati dal Kenya che però li prometteva al Sudan del Sud. Che brillante idea: basta mettere un po' di zizzania che prima o poi una bella guerra locale ci scappa. Ad esempio, Kenya contro Sudan.

Con cura, che a maneggiare troppi aghi tutti insieme a volte ci si punge.

2 commenti:

Comitato Storico Siciliano ha detto...

Anche io sono convinto che dietro i pirati somali ci siano gli USA.

Hanno annichilito il Libano per un soldato israeliano rapito, hanno raso al suolo l'Iraq e l'Afghanistan, sono a andati a prendere Saddam fin dentro ad un buco nel deserto e non riescono a prendere dei novelli pirati dei caraibi, che scorazzano impuniti?
Ma come la storia insegna ci sono pirati e pirati(anche in questo caso due pesi e due misure...)

Ci sono pirati che lavorano in proprio e pirati con la licenza....
Ad esempio Francis Drake, aveva la patente per la Guerra di Corsa, per conto di sua Maestà Britannica...

Abate Vella ha detto...

Nel post mi sono limitato, ma ci sono cosí tanti indizi... non si sono messi d'accordo neanche su chi ci sarebbe dietro ai pirati.

Ad esempio, secondo il Corriere dietro ci sarebbero le "Coorti islamiche". Ma l'Economist non puó dire questo, perché qualche mese fa aveva chiaramente dichiarato annientate queste coorti. Allora esce qualche altro (inesistente) gruppuscolo.

Sempre l'Economist fa un altro interessante parallelo, asserendo che la navigazione via mare non era mai stata tanto pericolosa dai tempi della II guerra mondiale, quando le U boat tedesche affondavano tutto quello che partiva o arrivava nei porti usa. Mi é sembrata una indicazione che se necessario i "pirati" potrebbero fare lo stesso, bloccando completamente lo stretto di Aden.

Siamo giá in piena guerra mondiale e non lo sappiamo?

Anche il caso della Faina é sintomatico: attorno ad essa continuano a girare una nave da guerra russa ed una americana. E secondo me non stanno controllando i pirati, ma si stanno controllando l'un l'altra.